MUSICUS ALIGHIERI
Una
clip mi gira per la mente: vedo il Sommo Poeta scostare con la destra la
tenda di velluto, avanzare sui marmi del salone, fermarsi davanti al
trono su cui siede Cangrande, attorniato dalla corte e dai nobilissimi
ospiti, tutti in piedi e attenti, ansiosi di ascoltare (alcuni sono
venuti apposta qui a Verona) i versi di quel poema di cui tutti parlano,
le parole ardenti di quel fiorentino, mezzo guelfo e mezzo ghibellino,
esule e condannato a morte, ospite stipendiato del magnifico signore
Della Scala.
Ha il
viso scavato dalle sventure e dall’orgoglio, il labbro di sotto
sporgente. In piedi è un po’ curvetto e indossa il lucco rosso, che
altro? Guarda il suo signore negli occhi e con un cenno della testa dà
il via ai suonatori di giga e d’arpa seduti lì a sinistra. Il dolce
suono delle corde armonizzate in tempra tesa riempie la sala, poi i
cornetti ricurvi innalzano il loro suono lamentoso. L’Alighieri, ché
così si chiama il fiorentino, chiude gli occhi e comincia con voce
intonata: “Nel mezzo del cammin di nostra vita…”.
Così
ora quel pacchetto di fogli rilegati,
che
giace come adesso sul mio tavolo,
se lo
guardo, non brilla più soltanto
della
luce che so che ci sta dentro,
ma
canta anche, e suona,
e fa
tin-tin come richiamo.
Da
quando, nel 1966, Nino Pirrotta pose accanto al nome di Dante
l’attributo “musicus”, molti studiosi, critici letterari e musicologi,
hanno dedicato i loro lavori agli aspetti musicali della
Commedia, arricchendo
considerevolmente le modalità d’approccio alla lettura del poema.
Sintetizzando si possono definire quattro livelli di indagine, che
corrispondono a quattro livelli possibili di lettura. Il primo, il meno
problematico, riguarda la musica dei versi. In questo contesto la parola
“musica” è usata in modo improprio, non tecnico, volendo indicare con
essa la “sonorità” delle parole messe in fila una dietro l’altra, il
loro ritmo incantatorio, il “legato” e lo “staccato” delle
allitterazioni, il “fugato” delle rime, ecc. Su questo aspetto le
opinioni concordano. C’è il testo e si parla di cose che sono contenute
in esso. Dante possiede un talento linguistico specifico, che mette a
sua disposizione una tavolozza sonora straordinariamente varia, come se
componesse di volta in volta per orchestre diverse, formazioni
strumentali e vocali sempre perfettamente congrue al “colore”
desiderato.
Il
secondo capitolo del grande tema “Musica nella
Commedia” lo si potrebbe
chiamare “La musica che non c’è, ma c’è”, oppure “La musica e la memoria
emotiva”. In questo caso la parola “musica” è usata propriamente, perché
Dante molto spesso, soprattutto nel
Purgatorio, invita il
lettore/ascoltatore a riportare alla mente un canto conosciuto,
generando una “colonna sonora” interiore. I suoi contemporanei passavano
molto tempo in chiesa, ascoltando canti e cantando, fin dall’infanzia.
Era automatico per loro, cantare nella mente sul suggerimento dell’incipit. E molte erano le occasioni sociali nelle quali si ascoltava
musica “profana”.
Il
terzo aspetto, controverso, è se la musica sia la filigrana sottile che
sorregge la struttura del poema. Qui gli schieramenti contrapposti si
affrontano senza esclusione di colpi. C’è chi, legato alla dimensione
scritta e alla “purezza” della poesia, lo esclude drasticamente. In
particolare i critici letterari di formazione accademica severa sono
pronti a difendere il sacro recinto dall’assalto dei musicologi.
Dall’altra parte c’è chi si affanna ad analizzare, a paragonare, a
destrutturare e ricomporre, con la certezza incrollabile dell’adepto.
Bisogna dire che il terreno è particolarmente scivoloso. Qual è
l’origine della terzina, per esempio? A parte la numerologia si può
ipotizzare l’influsso del tempus
perfectum? Quale funzione ha la musica, sottintesa naturalmente, nel
definire la drammaturgia degli eventi? Si naviga tra intuizioni geniali
e trovate pretestuose. C’è chi versa lacrime sulla cronologia che ha
impedito a Dante di conoscere la musica di Bach. C’è chi, affascinato da
una intuizione, si lascia trascinare al largo
rischiando di perdere il contatto con la terraferma. Ma d’altra
parte non è il caso di negarsi del tutto l’avventura nel gran mare
dantesco, anzi.
Il
quarto aspetto, il più coinvolgente, è quello del livello performativo
della Commedia. Dante leggeva
personalmente i suoi versi? Li cantilenava? Li cantava? Si faceva
accompagnare da strumenti? Ne affidava l’esecuzione ad altri? Anche qui
gli studiosi sono divisi.
In
questo mio umile contributo, mi addentro nella selva incantata del
poema, compulsando il testo parola per parola, cercando di non lasciarmi
trascinare troppo dall’entusiasmo, sfiorando qua e là i quattro aspetti
di cui qui sopra.
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