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È frustrante tentare di raccontare la vita di Dante
Alighieri. E nello stesso tempo è esaltante, perché si tratta del più
grande poeta di ogni tempo e perché ricostruendo la sua vicenda
individuale, anche con le grandi lacune dovute alla pochezza della
documentazione, si entra in un mondo lontano e ricco, strano per tanti
versi ai nostri occhi, ma anche pieno di cose che conosciamo bene e,
soprattutto, affascinante per la sua straordinaria carica creativa. La
vita di Dante è intrinsecamente legata alla storia di Firenze tra Due e
Trecento. E la storia di Firenze in quei decenni avventurosi è legata
alle vicende europee: al gioco mobile delle alleanze e dei conflitti tra
papato, impero, regno di Francia, comuni, famiglie, partiti. Il
palcoscenico lampeggiante della storia è attraversato da personaggi
straordinari, partoriti da società giovani e violente, traboccanti di
energia, uomini dai grandi desideri e dalle azioni audaci. Alcuni di
loro, molti a dir la verità, compiono il loro destino terreno finendo
nei versi immortali di Dante. Ma si fanno avanti anche nuovi ceti
sociali, mestieri e professioni, e sgomitano e lottano per arrivare là
dove possono finalmente permettersi anche loro di commettere soprusi.
Ogni momento della storia è un momento di crisi e di rinascita, ma gli
anni in cui toccò in sorte a Dante di vivere lo furono in sommo grado,
perché nuove forme si contorcevano per definirsi del tutto e
impadronirsi del campo, mentre le vecchie forme non ne volevano sapere
di morire. Dante naviga nelle acque tempestose del suo tempo, sembra
esserne travolto, sente che sta per affogare, ma poi, come ci racconta
nel primo canto del suo Inferno,
esce dall’acqua “perigliosa” pronto per la grande impresa: afferrare il
brulichio umano dei suoi tempi e farne un grande poema, un poema sacro,
mai scritto da nessuno. E alla fine del lavoro, coi suoi versi, simili
alle grandi vetrate delle cattedrali, avrà dipinto un’epoca. Il dantista
tedesco Friedrich Schneider, a proposito della
Commedia, ha usato
l’espressione “eruzione poetica”. È la parola giusta: “eruzione” cioè
esplosione imprevedibile e violenta dell’energia del sottosuolo. Dante è
stato il cratere, la bocca di fuoco con la quale la grande civiltà
comunale italiana ha parlato. E ha bruciato tutto con le sue parole,
“vere come carboni ardenti” canta Bob Dylan riferendosi proprio al
nostro poeta. Frustrante, ho detto, perché sappiamo poco,
pochissimo di lui. Sappiamo quando è nato, ma non sappiamo che scuole ha
fatto, se ne ha fatte. Sappiamo molto poco della sua famiglia, niente di
sua madre, solo il nome, quasi niente di suo padre e di sua moglie. Non
siamo del tutto sicuri su chi fosse Beatrice, personaggio centrale della
grande opera. Boccaccio ci dice che era Beatrice Portinari. Possiamo
credergli? Ce lo confermano anche un commentatore quasi contemporaneo di
Dante, il Balbaglioli, e un figlio di Dante, ma permangono dubbi.
Dante, che in
Paradiso VII 13-15 afferma che
la reverenza si impadroniva di lui anche solo a sentire
Be o ice, non ne fa mai il
cognome. Sappiamo che fu amico di Guido Cavalcanti, ma non sappiamo
perché poi divennero nemici né perché non lo mette da qualche parte
nella Commedia. I documenti si
fanno un po’ più fitti ed eloquenti negli anni dell’attività pubblica,
ma dall’esilio in poi tutto diventa rarefatto e bisogna accontentarsi di
ipotesi. Gli anni 1300 e 1301 sono gli anni cruciali per Firenze, per
Dante e per molti suoi compagni di partito. Mentre lui è a Roma quelli
del partito avverso, i Neri, prendono il potere e violentano la città
fino ad allora governata dai Bianchi. Le due fazioni del partito guelfo,
un tempo unito contro i ghibellini. È il papa, Bonifacio VIII, che ha
organizzato il colpo di mano nominando “paciere” il fratello del re di
Francia, Carlo di Valois. Buttato fuori da Firenze e condannato a morte,
il poeta/politico fu quasi certamente a Bologna, certamente a Verona, un
paio di volte, ma non sappiamo di sicuro quando e per quanto tempo,
certamente in qualche castello dell’Appennino e infine a Ravenna, dove
sono ancora le sua ossa. Sappiamo per certo che si entusiasmò alla
discesa in Italia di Arrigo VII imperatore e che fu presto deluso. La
maggior parte delle cose che sappiamo della vita di Dante ce le ha
raccontate lui. Ma questo non semplifica le cose, anzi, perché la
Vita nuova e la
Commedia sono due
auto fiction da prendere con le molle se si vogliono raccontare i
fatti reali. Insomma molte volte bisogna rassegnarci a dire: non si sa.
Comunque il lavoro vale la pena. Conforta una miriade di studi degli
ultimi decenni che si danno un gran da fare a riempire i vuoti. In ogni
caso mettere insieme le poche tessere che certamente facevano parte del
mosaico e sforzarsi di immaginare il resto, avvicina devotamente al
genio.
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