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Dante sta di fronte a noi come un enigma. Lui e la
sua opera. Tutti sappiamo chi è, sappiamo chi è stato, che cosa ha
significato, e significa, per l’Italia, come entità culturale e come
nazione. Lo mettiamo tranquillamente tra i padri della patria, oltre che
ovviamente tra i padri della lingua, tra i quali, non abbiamo dubbi,
occupa il primo posto. Ma se cominciamo a farci delle domande, per
andare un po’ più in profondità sulla nostra conoscenza riguardo alla
sua vita, al suo carattere, alla sua importanza, e alla sua opera,
incominciamo a nutrire dubbi su dubbi. Più domande ci si fa e meno
risposte si hanno. Ci rendiamo presto conto che Dante è un mito, che non
ha troppo da spartire con la realtà storica dell’uomo Dante. Non è colpa
di nessuno. Anzi non è proprio una colpa. Dante ha scritto la
Commedia, e questa è la sua “colpa”, se proprio vogliamo. La sua
Commedia è il grande enigma
all’interno dell’enigma Dante.
Cominciamo dal suo essere in generale: che cos’è la
Commedia? E prima ancora, che
cosa intendiamo chiedere quando chiediamo che cos’è la
Commedia? Cos’era per Dante,
che l’ha scritta? Cos’è (stata) per l’Italia? Cos’è per noi uomini del
terzo millennio? Domande preliminari, alle quali sarebbe necessario
forse rispondere prima ancora di cominciare a inoltrarci nella selva dei
quasi quindicimila versi, all’interno della quale ci troveremo a farci,
una dopo l’altra, altre domande. Alla prima delle domande non si può
rispondere con una risposta secca. Cos’era la
Commedia per Dante? Leggendo e
rileggendo quei mirabili canti sorge un sospetto, che un po’ alla volta
si fa certezza, quasi certezza: per Dante la
Commedia è stata cose diverse
man mano che la componeva. Anche cercando di essere crudelmente
oggettivi nell’indagine, l’opera non si dichiara con sincerità. Mente
dal principio alla fine, perché non fa altro che dire che sì, ci sono
mostri dentro di lei, e animali mai visti, e morti che parlano, e anime
che cantano e alberi rovesciati e muri di fuoco, ecc. ecc., ma è tutto
vero! Dice che è tutto vero. Lo ripete appena possibile, con una serie
di trovate straordinariamente efficaci, e di grande potenza emotiva.
Certo, si può liquidare la faccenda affermando a ragione che si tratta
di letteratura. Tutti gli autori vogliono essere presi sul serio. Ma in
questo caso la risposta non soddisfa. Perché c’è il dubbio fondato che
Dante credesse davvero che tutto quello che raccontava fosse vero. Vero
in quanto sogno davvero sognato? Vero in quanto visione dovuta a una
magica insania? O, forse, semplicemente vero come era “il vero” nella
mentalità del tardo Medioevo, distinto dal “reale”. Distinto e molto più
“vero”. Allora forse l’essere enigma della
Commedia si spiega con la
distanza che ci separa da quella mentalità, noi figli della tecnoscienza,
ormai appiattiti sull’unico vero, al quale attribuiamo, senza neanche
pensarci, l’esclusiva dell’essere? Forse sì. Forse no. Il grande fascino
che la Commedia, e la figura di Dante, emanano consiste nell’essere pianeta
indecifrabile, universo (non è un’iperbole) nel quale ci si può perdere.
Nella nostra epoca, della quale è tipico il “pensiero debole”, il
vertice della relatività dei valori, condividere a lungo la visione
dantesca delle cose è rigenerante. La vertigine dovuta all’incertezza
della base cede il posto alla vertigine della verticalità estrema. La
Commedia è un capolavoro
gotico, e come tutti i capolavori gotici, si pone come enigma
riassorbente l’enigma dell’essere. Risposta stupefacente, e mai
superata, alla domanda primigenia: perché esiste il mondo?
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