LATORRE EDITORE OPERAMONDOlibri
ESPANSIONI |
CATULLO POESIE
A chi dedicherò questo libretto,
Cui dono lepidum novum libellum
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Ehi,
passero, delizia della mia
Passer, deliciae meae puellae,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Piangi,
Venere, e piangi tu, Cupìdo,
Lugete, o Veneres Cupidinesque,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Lo vedete
quel battello, amici?
Phaselus ille, quem videtis, hospites,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Viviamo
nell’amore, Lesbia mia!
Vivamus mea Lesbia, atque amemus,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Se il tuo
amore non fosse privo, Flavio,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITOR
Quando
sarò sazio di baci? Questo
Quaeris, quot mihi basiationes
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITOR
Ah,
povero Catullo, cosa speri?
Miser Catulle, desinas ineptire,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITOR
E’ dunque
vero, Veranio dilettissimo, OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITOR
Compagni
di Catullo, Aurelio e Furio,
Furi et Aureli, comites Catulli,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITOR
Mentre si
beve e ride, tu, Asinio,
Marrucine Asini, manu sinistra
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITOR
Se sarai
fortunato, mio Fabullo,
Cenabis bene, mi Fabulle, apud me
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITOR
Se non ti
amassi più degli occhi miei,
Ni te plus oculis meis amarem,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITOR
Ti affido
il mio ragazzo, la mia vita,
Commendo tibi me ac meos amores,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
A te in
bocca e a te dritto nel culo
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Che
voglia hai, Verona, di far festa
O Colonia, quae cupis ponte ludere
longo,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Di tutti
i morti di fame, Aurelio,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Quello
stesso Suffeno che tu conosci bene,
Suffenus iste, Vare, quem probe nosti,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Alfeno,
così freddo con i tuoi vecchi amici?
Alphene immemor atque unanimis false
sodalibus,
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OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Ah, che
gioia rivederti, Sirmione,
Paene insularum, Sirmio, insularumque
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Amore
mio, Ipsitilla, io ti prego,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Il tuo
Catullo, Cornìficio, sta male,
Male est, Cornifici, tuo Catullo anafora
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Quella
puttana strafottuta ha chiesto
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
I giorni
son più tiepidi, si scioglie
Iam ver egelidos refert tepores,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Se
potessi baciarePAGEREF _Toc495090559 \h 70
Mellitos oculos oculos tuos, Iuventi,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Quello è
simile a un dio, se sa ascoltarti,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
E’ l’ozio
il tuo male, Catullo: il vuoto
Otium, Catulle, tibi molestum est:
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Ah,
Celio, la mia Lesbia, la mia Lesbia
Caeli, Lesbia nostra, Lesbia illa.
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Una
leonessa libicaPAGEREF _Toc495090567 \h 78
Num te te leaena montibus Libystinis
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Nulli se dicit mulier mea nubere malle
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Dicebas quondam solum te nosse Catullum,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Ah, il
cuore, Lesbia mia, il mio cuore,
Huc est mens deducta tua mea, Lesbia,
culpa
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Tra tanti
uomini, Giovenzio, possibile
Nemone in tanto potuit
populo esse, Iuventi,
OPERAMONDOlibri
LATORRE-EDITORE
Se vuoi, mio Quinzio,
che Catullo tuo
Quinti, si tibi vis oculos debere
Catullum
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LATORRE-EDITORE
Presente
suo marito, mi ricopre
Lesbia mi praesente viro mala plurima
dicit:
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LATORRE-EDITORE
Odi et amo. quare id faciam, fortasse
requiris.
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LATORRE-EDITORE
Quintia formosa est
multis. mihi candida, longa,
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LATORRE-EDITORE
Quale donna
può dire “mi hanno amata”
Nulla potest mulier
tantum se dicere amatam
OPERAMONDOlibri
LATORRE-EDITORE
E tu
come lo chiami, Gellio, un tale
Quid facit is, Gelli,
qui cum matre atque sorore
OPERAMONDOlibri
LATORRE-EDITORE
E’ uno
scheletro, Gellio! Ma per forza!
Gellius est tenuis:
quid ni? cui tam bona mater
OPERAMONDOlibri
LATORRE-EDITORE
Gellio scopa sua madre. Da quel coito
Nascatur magus ex Gelli
matrisque nefando
OPERAMONDOlibri
LATORRE-EDITORE
Nel mio
infelice e disperato amore,
Non ideo, Gelli,
sperabam te mihi fidum
OPERAMONDOlibri
LATORRE-EDITORE
Mi
copre d’insulti la mia Lesbia
Lesbia mi dicit semper
male nec tacet umquam
OPERAMONDOlibri
LATORRE-EDITORE
Se qualcosa
di noi, Calvo, può giungere
Si quicquam mutis
gratum acceptumque sepulcris
OPERAMONDOlibri
LATORRE-EDITORE
Puzza la
bocca e puzza il culo a Emilio,
Non (ita me di ament)
quicquam referre putavi,
OPERAMONDOlibri
LATORRE-EDITOREE
Mentre
giocavi, Giovenzio, ho rubato
Surripui tibi, dum
ludis, mellite Iuventi,
OPERAMONDOlibri
LATORRE-EDITORE
Ah fratello,
fratello! Trascinato
Multas per gentes et
multa per aequora vectus
OPERAMONDOlibri
LATORRE-EDITORE
Si quicquam tacito
commissum est fido ab amico,
OPERAMONDOlibri
LATORRE-EDITORE
Posso
mai maledire la mia vita?
Credis me potuisse meae maledicere
vitae,
OPERAMONDOlibri
LATORRE-EDITORE
Si quicquam cupido
optantique optigit umquam
OPERAMONDOlibri
LATORRE-EDITORE
Iucundum, mea vita, mihi proponis amorem
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
A chi dedicherò questo libretto,
nuovissimo e prezioso, ancora lucido di pietra pomice? A te, Cornelio, che alle piccole mie cose dai valore fin da quando, tu solo, osavi mettere in tre pesanti e dottissimi tomi tutta, mio dio, la storia universale. Per quel poco che vale, il mio libretto consideralo tuo. E tu, musa, concedi a questi versi lunga vita.
I OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE Cui dono
lepidum novum libellum
Ehi, passero, delizia della mia
ragazza! Lei ti tiene sul suo seno, gioca con te, ti provoca col dito, che tu becchi rabbioso. Il desiderio incandescente trova un non so che di requie in questo gioco, quando il fuoco che m’arde s‘acquieta. Ah, fammi giocare con te, come fa lei, per strapparmi da dentro il cuore la malinconia.
II Passer, deliciae meae
puellae,
Piangi, Venere, e piangi tu, Cupìdo,
piangete tutti, uomini gentili: il passero che lei, la mia ragazza, amava più degli occhi, non c’è più! E’ morto l’uccellino del mio amore! Come un bambino la riconosceva, le saltellava intorno e non voleva allontanarsi mai. Solo per lei cinguettava. Ora cammina in silenzio lungo la via oscura da cui nessuno fa mai ritorno. Sia maledetta la morte senza cuore che divora tutte le cose belle! Il passerotto, il povero uccellino, non c’è più! Piange la mia ragazza e i suoi occhi, si gonfiano e s’arrossano di lacrime.
III
Lugete, o Veneres Cupidinesque,
Lo vedete quel battello, amici?
Fu la barca più veloce, un tempo. Nessun impeto di remi o venti poté mai superarlo: volava. Ne sono testimoni sinceri la costa infìda del mare Adriatico, le Cìcladi e la famosa Rodi, il mare di Marmara agitato e l’orrido mar Nero, là dove, prima d’essere barca, fu legno scurissimo di foglie fruscianti sul monte Citorio. Tu, mar Nero, e tu, Citorio folto di bossi, lo conoscete bene dal tempo in cui, frondoso, svettava in alto e poi quando bagnò i remi svelti e condusse il suo padrone in giro sul mare ventoso con le vele gonfie del forte soffio di Giove. Senza pregare gli dei dei porti, venne qui da quel mare lontano, racconta, in questo limpido lago. Ma è acqua passata, ora quieto invecchia in pace in questo ritiro e se stesso a te dedica, Castore, e al divino gemello Pollùce.
IV
Phaselus ille, quem videtis,
hospites,
senet quiete seque dedicat tibi, gemelle Castor et gemelle Castoris.
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Viviamo nell’amore, Lesbia mia!
E i vecchi astiosi e i loro brontolii non valgano per noi neanche un centesimo. Ogni giorno finisce e poi ritorna, ma quando il breve giorno della vita avrà visto il tramonto, dormiremo una notte senza fine. Ora dammi mille baci, poi cento e poi altri mille, e ancora cento, mia cara, e ancora mille. Quando saranno cento volte mille confonderemo i conti, che nessuno possa farci il malocchio, conoscendo un così grande numero di baci.
V
Vivamus mea Lesbia, atque amemus,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Se il tuo amore non fosse privo, Flavio,
di grazia ed eleganza, non potresti trattenerti dal dirlo al tuo Catullo. Ma è una puttana sgangherata quella che stai amando, quindi ti vergogni. Che non sei solo di notte lo dicono, anche se non parlano, la tua camera, che sa di fiori e di profumi assiri, e il cuscino scavato da due teste, e il letto, poverino, scricchiolante e gemente per la grande fatica. Non puoi proprio negarlo: tu la scopi come un pazzo, altrimenti non avresti quell’aspetto cadaverico. Dimmi: almeno sei felice? Con i versi più strani e funambolici vorrei portare te e il tuo amore fino in cielo.
VI
Flavi, delicias tuas
Catullo,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Quando sarò sazio di baci? Questo
mi chiedi, mia Lesbia? Quando saranno tanti come i granelli delle dune che assediano i filari di Cirene, tra il rovente oracolo di Giove e l’urna sacra dell’antico Batto; quando saranno tante come in cielo, nel silenzio della notte, le stelle che guardano dall’alto degli uomini gli amori clandestini. Ecco, tu baciami con così tanti baci che i pettegoli non possano contarli e far malie. Solo così sarà sazio Catullo.
VII
Quaeris, quot mihi
basiationes
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Ah, povero Catullo, cosa speri?
Quando una cosa è finita, è finita. Come il sole brillarono i tuoi giorni, quando colei, che tu amasti come nessuna al mondo mai sarà più amata, diceva “vieni” e tu, pronto, correvi. Nessun gioco d’amore ti negava: ciò che volevi tu, lei lo voleva. Come il sole brillarono i tuoi giorni! Ora non vuole più e tu sii forte, non inseguirla come un accattone. Se ti ha lasciato, lasciala, che vada! Addio, ragazza, vedi, il tuo Catullo resiste. Non verrò mai più a cercarti, non ti voglio per forza, però tu, ora che non ti voglio, piangerai. Che cosa ti darà di più la vita? Chi ti amerà? Di chi sarai l‘amante? Chi bacerai? Chi morderà le labbra… Ma tu resisti, Catullo, resisti.
VIII
Miser Catulle, desinas
ineptire,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
E’ dunque vero, Veranio dilettissimo,
che amo più di tutti i tanti amici, fossero anche mille volte mille, È dunque vero, sei tornato a casa? Dalla tua vecchia madre? Dai fratelli a te così legati? Sì, sei qui! Che meraviglia di notizia: qui! Potrò dunque vederti sano e salvo? Potrò stringermi a te, mentre racconti le cose, le genti e i luoghi di Spagna? Potrò baciare gli occhi sorridenti? Coprirti tutto il viso coi miei baci? Felice, felicissimo, nessuno
tra gli uomini felici è più felice!
IX
Verani, omnibus e meis amicis
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Compagni di Catullo, Aurelio e Furio,
pronti a seguirmi anche fino all’ultima spiaggia dell’India, scossa dal rombante Oceano Mare; e tra gli Ircani e gli Arabi lascivi; e tra i Parti guerrieri, e dove il mare prende le acque e i colori delle sette bocche del Nilo; e là, oltre le Alpi, per vedere i monumenti a Cesare, e in Britannia dove stanno i più selvaggi e feroci di tutti gli uomini; voi, che siete disposti ad affrontare con me quello che vuole la Fortuna, voi riferite alla mia Lesbia queste parole amare: viva felice e goda i suoi amanti, e scopi pure con trecento insieme, e se li spolpi fino all’osso, senza amarne alcuno; ma non faccia più conto del mio amore: per colpa sua è caduto, come un fiore ucciso al bordo di un prato, dal vomere che l’ha falciato.
XI
Furi et Aureli,
comites Catulli,
sive in extremos penetrabit Indos,
litus ut longe resonante Eoa
tunditur unda,
sive in Hyrcanos Arabasve molles,
seu Sagas sagittiferosve Parthos,
sive quae septemgeminus colorat
aequora Nilus,
sive trans altas gradietur Alpes, Caesaris visens
monimenta magni, Gallicum Rhenum,
horribilesque ulti- mosque Britannos; omnia haec,
quaecumque feret voluntas caelitum,
temptare simul parati, pauca nuntiate
meae puellae non bona dicta. Cum suis vivat
valeatque moechis,
quos simul complexa tenet trecentos,
nullum amans vere, sed identidem omnium
ilia rumpens:
nec meum respectet, ut ante, amorem, qui illius culpa
cecidit velut prati ultimi flos,
praetereunte postquam tactus aratro
est.
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Mentre si beve e ride, tu,
Asinio,
XII
Marrucine Asini, manu sinistra
Se sarai fotunato, mio Fabullo,
farai una bella cena a casa mia! Tu porterai la cena. Che sia ricca e saporita! E porta anche una fresca ragazza, sale e vino e tutta quanta la tua voglia di ridere di tutto. Questo è l’unico modo per cenare a casa di Catullo. La mia borsa è tutta ragnatele. In cambio avrai affetto imperituro, e quel profumo che la mia donna ha ricevuto in dono direttamente dalla dea d’amore. Quando l’annuserai, Fabullo mio, tu pregherai gli dei che ti trasformino tutto quanto tu sei in un gran naso.
XIII
Cenabis bene, mi Fabulle, apud me
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Se non ti amassi più degli occhi miei,
mio Calvo delizioso, per questo tuo regalo dovrei odiarti come t’odia Vatinio. Cosa ho fatto? O cosa ho detto perché tu m’uccida con questi tuoi poeti? Maledetto il cliente che ti ha mandato un tale branco di canaglie. Ma se il geniale dono ti arriva dal “maestro” Silla, ne son contento: non vanno sprecate così le tue fatiche. O dio santo, che libretto schifoso! E tu lo mandi al tuo Catullo il giorno dei Saturnali, il più lieto dei giorni. Vuoi vedermi morire proprio oggi? Ma non la passi liscia, mio buffone! Appena si fa chiaro, mi precipito ai chioschi dei librai e lì ti compro Cesio, Suffeno, Aquino e tutto il peggio: berrai il veleno che ho bevuto io. E ora via di qui, peste del mondo, tornate là, “poeti”, da dove siete usciti, maledetti!
XIV
Ni te plus oculis meis
amarem,
illuc, unde malum pedem attulistis,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Ti affido il mio ragazzo, la mia vita,
Aurelio mio, e ti chiedo, se mai amasti gelosamente una creatura intatta, di conservarlo puro com’è ora. Non parlo della gente indaffarata che pensa ai fatti suoi e tira dritto. Parlo di te, del tuo cazzo implacabile con ogni tipo di ragazzo, vergine o rotto non importa. Quando tira, ficcalo dove vuoi, ti proibisco soltanto lui. Non sto chiedendo molto. Se per caso oserai, pazzo furioso, spingere la tua voglia criminale al punto di attentare alla mia carne, ecco cosa ti aspetta: come donna te ne starai a cosce aperte e io ti ficcherò là dentro dove sai radici secche e pesci ancora vivi.
XV
Commendo tibi me ac meos amores,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
A te in bocca e a te dritto nel culo
voglio ficcarvelo, Aurelio e Furio. Pensate, succhiacazzi e rottinculo, che sia dei vostri perché ho scritto qualche verso libidinoso? Il poeta deve essere casto, ma chi ha detto che lo devono essere i suoi versi? Se non fossero lascivi e spudorati sarebbero scipiti e senza nerbo, incapaci di farglielo grattare, non dico ai ragazzini, ma ai pelosi scimmioni che non danno più di schiena. Ma voi, perché leggete, brutte checche, di migliaia di baci, giudicate me come un effeminato? In bocca, Furio e Aurelio, ve lo ficco, e nel culo.
XVI
Pedicabo ego vos et irrumabo,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Che voglia hai, Verona, di far
festa
sul ponte lungo,
di ballarci sopra a più non posso!
Ma ti rendi conto che ha, quel
ponticello, gambe fragili, fatte di
tavolette riciclate. Hai paura che
tutto vada in vacca e il ponte sbatta
il culo nella melma. Ti auguro di
cuore che tu abbia un bel pontaccio
solido: che i Salii lo possano
pestare santamente. Ma voglio da te
in cambio un regaluccio, che mi faccia
pisciare dalle risa: buttami giù dal
ponte, o mia Verona, un mio
concittadino gran coglione, più tonto di un
bambino di due anni cullato tra le
braccia di suo padre. Voglio vedere
spuntare dal fango solo i suoi
piedi! Fallo soffocare nel punto più
profondo, nel più lurido, dove spurgano
tutte le tue fogne. La sua sposa è
giovanissima, un fiore! E’ delicata più
di un agnellino, da conservare
come fosse l’uva quando è più
nera. E lui permette, il folle, che vada a
divertirsi dove vuole! Non gliene
importa un fico, resta moscio, come un abete
abbattuto in un fosso dalla scure di un
Ligure. Non vede, non sente niente,
il gran pezzo di fesso, come se lei non
esistesse. Vive, indifferente a
tutto, una vita da niente, non sapendo
nemmeno d’esser vivo. Lo voglio a testa
in giù dal ponte! Forse il colpo lo risveglierà, l’idiota. Chissà che il suo torpore non sprofondi nella melma del
pantano per sempre,
come la mula che affonda il suo zoccolo
XVII O Colonia, quae cupis ponte
ludere longo,
nec se sublevat ex sua parte, sed velut alnus
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Di tutti i morti di fame, Aurelio,
tu sei il padre, di quelli che sono, di quelli che furono e di quelli che stanno per nascere. Nel culo del mio amore tu vorresti entrare! E non ne fai mistero! Ti strusci, gli stai sempre attorno per tentarlo. Ma non ce la puoi fare, perché, mentre tu tendi queste insidie, io ti fotto per primo. E pazienza se tu fossi con la pancia piena, ma non posso pensare che patisca la fame il mio ragazzo. Ti dico: piantala o ti prendi questo cazzo in culo.
XXI
Aureli, pater
esuritionum,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Quello stesso Suffeno che tu conosci bene,
sì, proprio lui, mio Varo, quell’uomo spiritoso, quell’uomo intelligente, sforna versi su versi! Credo che n’abbia scritti già più di diecimila! E non su palinsesti, come si fa di solito, ma su carta di prima, libri nuovi di zecca, con bei lacci di cuoio e le bacchette nuove, e tutti ben squadrati e ben tirati a lucido. Ma se li leggi, ahimè, l’elegante Suffeno diventa un pecoraio, un cafone, un vastaso, tanto si capovolge e mostra un’altra faccia. Davvero, è strabiliante: il mondano Suffeno, affascinante e acuto, appena tocca un verso dimostra l’eleganza di chi dà giù di zappa. Eppure è strafelice quando scrive poemi, gode del proprio genio e s’ammira. Del resto chi di noi non si inganna Non c’è, Varo, un Suffeno in ognuno di noi? Tutti abbiamo difetti, ma nessun gobbo mai ha visto la sua schiena.
XXII
Suffenus iste, Vare, quem probe nosti,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Versami vino puro,
ragazzo, del più forte. Così vuole Postumia, la maestra ubriaca più di un acino gonfio. E tu, acqua, va via, stai lontana da me, tu che rovini il vino, vattene ad abitare dai tetri moralisti. Il figlio di Semele qui lo vogliamo nudo.
XXVII Minister vetuli puer Falerni
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Alfeno, così freddo con i tuoi vecchi amici?
Tratti senza pietà anche quello più caro? A tradirmi, crudele, non hai esitato un attimo. Non sai dunque che il Cielo punisce il tradimento? Son solo coi miei mali e non ti fai vedere! A che serve la vita se non si ha qualcuno? Sei stato tu a spingermi a donarti il mio cuore, ad affidarmi a te senza temere nulla. Adesso ti ritrai, quello che hai detto e fatto se ne va via col vento, scompare nella nebbia. Tu dimentichi presto, ma gli dei si ricordano e la Fede violata ti punirà un giorno.
XXX Alphene immemor atque
unanimis false sodalibus,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Ah, che gioia rivederti, Sirmione,
la terra più preziosa tra le tante isole e penisole che Nettuno ha sollevato dai laghi trasparenti e dall’immenso mare. Io quasi non credo ancora d’essere tornato dalle terre di Bitinia e d’esser qui a guardarti, sereno. Ritornare, liberare da ogni peso la mente, stremata dai viaggi in terra straniera, e finalmente posarsi sul letto a lungo sospirato! E’ questo il premio di ogni mia fatica. Ciao, Sirmione, rallegrati con me, o mia bellissima, e rallegratevi anche voi, acque del lago lidio, e rida anche la casa che risuoni d’alte grida di gioia.
XXXI
Paene insularum, Sirmio, insularumque
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Amore mio, Ipsitilla, io ti prego,
fichetta mia, delizia, di aspettarmi: oggi vengo da te, nel pomeriggio. Dimmi di sì, tesoro, non sprangare la porta e non uscire, resta in casa e tienti pronta. Almeno nove volte ho voglia di scoparti. Anzi, se vuoi, dimmi “vieni” soltanto e arrivo subito. Son qui, sdraiato dopo pranzo, e supino alzo col cazzo tunica e mantello.
XXXII
Amabo, mea dulcis Ipsitilla,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Vibennio è il re dei ladri,
suo figlio delle checche. Più le mani del padre son sozze e più è famelico il gran culo del figlio. Fuori di qui, in esilio, in terre maledette, ora che tutti sanno che sei un ladro fottuto! E tu da un’altra parte porta il culo peloso. Qui nessuno lo vuole.
XXXIII
O furum optime balneariorum
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Fidenti in Diana,
fanciulle e giovani, cantiamo il nome di Diana vergine, fanciulle e giovani. O grande figlia del grande Giove, te sotto un albero d’ulivo fece Latona a Delo, perché tu fossi sola signora dei luoghi taciti, delle montagne, dei verdi boschi, là dove cantano limpidi rivi. A te si voltano le partorienti, a te, chiamandoti Giuno Lucina. Sei detta Trivia, l’onnipotente, Luna di luce che tutto sai. Tu, dea, dividi in mesi il corso dell’anno e fai di buon raccolto piene le case dei contadini.
Tutti i tuoi nomi noi qui invochiamo e tu proteggici: dona il tuo aiuto di sempre a Roma.
XXXIV
Dianae sumus in fide
tu potens Trivia et notho es
antique ut solita es, bona
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Il tuo Catullo, Cornìficio, sta male,
male, per dio, sempre più male, e soffre di più ogni giorno che passa, ogni ora. E tu nemmeno una parola, tu mi neghi questo piccolo sollievo! Così dunque mi ami? Ti detesto! Ti prego, una parola, un verso solo, un niente che mi scaldi e mi consoli, più triste anche del pianto di Simonide.
XXXVIII Male est, Cornifici, tuo
Catullo anafora
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Quella puttana strafottuta ha chiesto
diecimila sesterzi tondi tondi, quella bagascia dal gran naso storto, che il Gran Fallito di Formia si scopa. Ehi, parenti che l’avete in tutela, perché non la portate da un dottore, è tutta matta, quella, non si guarda la sua faccia di schifo in uno specchio?
XLV
Ameana puella defututa
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Oh, ciao ragazza
dal grosso naso dal piede rozzo dagli occhi sciapi, che il Gran Fallito di Formia scopa. Le dita hai tozze la bocca a cassa, parli da schifo, da voltastomaco. Sei tu la bella della provincia? E alla mia Lesbia ti han comparata? O mondo ottuso, privo di spirito!
XLIII Salve, nec minimo puella
naso
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
I giorni son più tiepidi, si scioglie
il furibondo cielo equinoziale nei miti venti della primavera. E’ il momento, Catullo, via, lasciamo le campagne di Frigia e le pianure della fertile e torrida Nicea. Presto, partiamo per le luminose città dell’Asia, col cuore che trepida e i piedi come ali. In queste terre siamo arrivati insieme, dolci amici, ma ora addio, ritorneremo a casa facendo ognuno vie diverse e strane.
XLVI
Iam ver egelidos refert tepores,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Se potessi baciare
i tuoi occhi di miele, Giovenzio, infinite volte li bacerei. No, non sarei mai sazio, fosse anche la messe dei miei baci più fitta della messe fittissima delle spighe mature.
XLVIII
Mellitos oculos oculos tuos, Iuventi,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Quello è simile a un dio, se sa ascoltarti,
sedendoti vicino, mentre parli. Anzi di più di un dio, se sa guardarti, con gli occhi fissi in te, mentre tu ridi tutta dolcezze. Perché se io ti guardo, Lesbia mia, mi sento venir meno, nelle orecchie un rombo, un fuoco dentro, nella bocca la lingua mi si secca, sui miei occhi la notte scende.
LI Ille mi par esse deo videtur,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
E’ l’ozio il tuo male, Catullo: il vuoto
dei tuoi giorni di ozio ti consuma, estenuando i tuoi nervi. Già signori felici e regni antichi perirono così.
LIb Otium, Catulle, tibi
molestum est:
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Ah, Celio, la mia Lesbia, la mia Lesbia
quella Lesbia che ho amato più di ogni cosa e di me stesso, quella, agli angoli di strada e nei vicoli ora lo succhia a tutti quanti i figli del grande padre Remo.
LVIII
Caeli, Lesbia nostra, Lesbia illa.
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITOR
Una leonessa libica
ti ha generato, o Scilla dall’utero ruggente, col cuore così duro e nero che disprezza la voce che l’implora dalla miseria estrema. Il tuo cuore è di belva.
LX
Num te te leaena montibus Libystinis
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Con te o con nessuno,
dice la donna mia. “Giuro, neanche a Giove”, mi dice, “la darei”. Ma quel che donna dice a uomo innamorato è scritto sopra il vento è scritto sopra l’acqua.
LXX Nulli se dicit mulier mea
nubere malle
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Giuravi, Lesbia, un tempo
di volere me solo. “Anche se Giove, mi volesse, dicevi, direi di no”. E io ti ho amata come un padre premuroso ama i suoi figli. Ma ora ti conosco. Mi brucia il desiderio ma ormai per me sei una cosa dozzinale. Tu mi chiedi “Perché?”. Il cuore offeso ama ancora di più, ma non vuol bene.
LXXII Dicebas quondam solum te
nosse Catullum,
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITOR
Ah, il cuore, Lesbia mia, il mio cuore,
troppo pazzo di te, ha consumato ogni sua forza ad esserti fedele. Anche se cambierai, non potrà più teneramente amarti né, per quanto tu faccia, potrà cessare di desiderarti.
LXXV Huc est mens deducta tua mea,
Lesbia, culpa
OPERAMONDOlibri LATORRE-EDITORE
Tra tanti uomini, Giovenzio, possibile
che non ti sai trovare un uomo degno d’essere amato? No, te ne pigli uno sepolcrale, Faccia Gialla da Pesaro, città di quasi morti. Hai lui nel cuore ora, e osi amarlo più di me, quello zombi imbalsamato! Sei un senza testa!
LXXXI Nemone in tanto potuit
populo esse, Iuventi,
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Se vuoi, mio Quinzio, che Catullo tuo
ti debba gli occhi, o anche qualche cosa più preziosa degli occhi, non privarlo di ciò che degli occhi gli è più caro.
LXXXII
Quinti, si tibi vis oculos debere Catullum
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Presente suo marito, mi ricopre
di ingiurie, la mia Lesbia. Lui è contento, gongola di felicità, il cazzone. Ehi, cervello di mulo, stesse zitta, sarebbe chiaro segno ch’è finita. Se grida e se straparla, vuol dire che ricorda. Se è rabbiosa, è l’amore che rugge.
Lesbia mi praesente viro
mala plurima dicit:
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Odio e amo.
Come può essere? mi chiedi. Io non lo so, ma sento che è così e dentro mi consumo.
LXXXV Odi et amo. quare id faciam,
fortasse requiris.
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Quinzia per molti è bella.
Anch’io non nego che abbia pelle bianca e sia slanciata, nego però che sia del tutto bella. Per esserlo le manca quello spirito che può dare splendore ad un bel corpo. Bellissima tra tutte è invece Lesbia, che di tutte ha rubato ogni bellezza.
LXXXVI Quintia formosa est multis.
mihi candida, longa,
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Quale donna può dire “mi hanno amata”
come puoi dirlo tu, che io ho amata? E quale uomo, mia Lesbia, può dire d’essere stato come me fedele?
LXXXVII Nulla potest mulier tantum
se dicere amatam
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E tu come lo chiami, Gellio, un tale
che passa le sue notti nudo a fottere sorella e madre? Di’, come lo chiami chi si scopa la moglie dello zio? La senti la grandezza del suo crimine? E’ una tale lordura, caro Gellio, che non l’acqua con cui Teti racchiude il mondo tondo, né l’onda d’Oceano, procreatore di ninfe, può lavare. Qui, caro Gellio, superi ogni limite, peggio di quando te ne stai, incestuoso, con la testa tra le cosce, a succhiartelo.
Quid facit is, Gelli, qui
cum matre atque sorore
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E’ uno scheletro, Gellio! Ma per forza!
Con una madre grande scopatrice e una sorella fica come poche! Con uno zio cornuto e stracontento e tutta quella schiera di cugine, e procugine, e parentelle varie, come fa a non essere uno scheletro? Anche se scopa soltanto in famiglia, gli basta, eccome, a finire spolpato.
Gellius est tenuis:
quid ni? cui tam bona mater
tamque valens
vivat tamque venusta soror, tamque bonus
patruus, tamque omnia plena puellis cognatis, quare
is desinat esse macer? Qui ut nihil
attingat, nisi quod fas tangere non est, quantumvis quare
sit macer invenies.
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Gellio scopa sua madre. Da quel coito
nasca, speriamo, un mago e sia dottore d’arte aruspicina. Se le nefande credenze dei Persiani sono vere, così soltanto può nascere un mago che sia capace di farsi ascoltare quando biascica scongiuri agli dei, mentre brucia budella sull’altare.
Nascatur magus ex Gelli
matrisque nefando
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Nel mio infelice e disperato amore,
ti fui amico e mi fidai di te. Non certo perché, leggendoti in cuore, trovavo fedeltà, o repulsione al crimine più immondo. Ero tranquillo solamente perché quella che amo non è tua madre e non è tua sorella. Né la nostra conoscenza, pensavo, è tanto stretta da sembrar parenti. E invece sì, ti è bastato lo stesso! Non vai per il sottile se intravedi un buco in cui godere profanando.
Non ideo, Gelli, sperabam te
mihi fidum
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Mi copre d’insulti la mia Lesbia
e non tace un secondo: mi ama! Io copro lei d’insulti: che muoia se non l’amo di più di quanto m’ama.
Lesbia mi dicit semper male
nec tacet umquam
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Se qualcosa di noi, Calvo, può giungere
fino al silenzio delle tombe, se il tenero pianto di nostalgia può lambirle con dolcezza, Quintilia, vedendo le tue lacrime, si placa nel ricordo dell’amore e dimentica che la sua vita è stata troppo breve.
Si quicquam mutis gratum
acceptumque sepulcris
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Puzza la bocca e puzza il culo a Emilio,
come un cosa sola. Stesso schifo: lercia la bocca come lercio il culo. Anzi il suo culo, forse, ha più decoro, almeno è senza denti. Ma la bocca, con quelle zanne, e con quelle gengive come carri sgangherati! Se l’apre è la fregna slabbrata di una mula quando piscia in calore in piena estate. Eppure scopa e pensa d’esser bello! Lo manderei alla macina, coi muli. E le donne che scopano con lui? Tutte a leccare emorroidi ai carnefici.
Non (ita me di ament)
quicquam referre putavi,
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Mentre giocavi, Giovenzio, ho rubato
un bacio tuo di miele. Per un’ora, in croce al tuo cospetto, ho scusato il mio gesto, cercando con le lacrime d’intenerirti il cuore. Tu asciugavi, schifato, le tue labbra inumidite, per levar via ogni traccia del mio bacio, come fosse la lurida saliva di una bocca sborrata di puttana. Poi mi hai fatto subire ogni tortura d’amore, ogni dispetto. Così il bacio dolcissimo di miele è diventato elleboro amaro. Se è questa la pena che tu infliggi al mio amore, infelice me ne starò senza rubarti baci.
Surripui tibi, dum ludis, mellite Iuventi,
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Ah fratello, fratello! Trascinato
per molte genti
e per molti mari, sono arrivato qui. Ecco le offerte che si devono ai morti, nudi riti d’addio, parole vane per le ceneri silenziose.
Brutalmente il destino ti ha rapito a me, povero fratello. Ora non restano che gli antichi onori dei padri che tristemente ti rendo e le parole d’addio:
per sempre, fratello, addio, fratello mio, per sempre.
Multas per gentes et multa
per aequora vectus
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Lo sai, ti sono amico,
e sai che son discreto. Nessuno mai, puoi credermi, s’affidò ad un amico più discreto di me. Per me un segreto è sacro, come è sacro il silenzio. Se saprò il tuo segreto starò in sacro silenzio, come fossi una statua.
Si quicquam tacito commissum
est fido ab amico,
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Posso mai maledire la mia vita?
Maledire chi amo più degli occhi? Come posso se l’amo come un pazzo? Ma lei perché con tutto mi tormenta?
Credis me potuisse meae
maledicere vitae,
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Ottenere
quello che si desidera da tanto e non si spera più, questa è una gioia che non si può descrivere. Mia Lesbia, torni al mio desiderio ormai inattesa e ti ridai a me! Ah, come l’oro la mia gioia sarà senza confini, luminosa. Ah che giorno, segnerò la data con la pietra che è più bianca. Quale vivente vive più felice? C‘è forse vita più desiderabile?
Si quicquam cupido
optantique optigit umquam
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A me prometti tu, anima mia,
un amore senz’ombre e senza fine. Che tu parli col cuore e che mantenga la tua promessa, questo chiedo al Cielo. Che duri sempre e che sia sempre sacro questo patto reciproco d’amore.
Iucundum, mea vita, mihi proponis amorem
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