Pensiamo per un attimo ad un mondo
di esseri umani senza voce. Che mondo sarebbe? Sarebbe
ancora un mondo umano? Certo potremmo comunicare con i
gesti, con l’espressione del viso, con dei rumori
gutturali. Ma che cosa ne sarebbe della nostra umanità,
che cosa ne sarebbe del pensiero? I rapporti tra le
persone a cosa si ridurrebbero? Avremmo conosciuto,
senza voce, il valore dei sentimenti? Saremmo stati in
grado di inventare un linguaggio in qualche misura
articolato? E le città, e le leggi, e l’arte, e la
democrazia? Sicuramente no. Senza voce e senza
articolazione della voce in fonemi, sillabe, parole,
pensieri, saremmo ancora allo stato brutalmente
elementare dell’esistenza. Tutti i vari aspetti della
vita sarebbero determinati dalla forza, dallo scontro
fisico. Il più grande atto creativo dell’umanità invece
si realizza nella voce della legge, nella voce che dice
la legge e, garantendo giustizia, placa gli animi.
Ma prima ancora di essere veicolo del pensiero la voce è
stata conforto, riconoscimento, senso di appartenenza,
come ha scritto, in modo insuperabile, Borges: ”La
funzione essenziale del linguaggio: mantenere il
contatto sociale al buio. […] Svanita la luce del giorno
e con essa il confortante mondo visibile, l'uomo doveva
trovare un sistema per convincere se stesso che non era
solo in balia dei possibili terrori della notte. A ben
pensarci, la parola non è uno strumento granché preciso
[...] Si prenda il discorso come una sorta di tremolante
candela auditiva per rischiarare la tenebra, e il mero
fatto di mantenerla accesa sarà sufficiente”.
“Molti erano gli eroi nel campo acheo, campioni della
guerra e ricchi di gloria, ma quando si riuniva
l’assemblea e Ulisse cominciava a parlare, le sue parole
scendevano come i fiocchi di neve sui monti. Allora
nessuno gli era pari”. Così scrive Omero. La sua breve
descrizione ci dice molte cose. Ci dice soprattutto che
se non è la voce che conta siamo in guerra. Il flatus
vocis è il discrimine della civiltà. Ma Omero ci dà
anche una idea di come deve essere la buona voce, la
buona dizione. Le parole devono scendere sugli
ascoltatori “come fiocchi di neve sui monti”. Davvero è
difficile trovare una immagine migliore per descrivere
la forza di persuasione di una dizione naturale.
Naturale non vuol dire “come viene” ma vuol dire “che
abbia la forza e la semplicità di un evento naturale”.
Così veniamo a conoscere i due aspetti della voce: la
forza emozionale intrinseca al suono stesso, il lato
evidenziato da Borges; e la sua potenza di strumento di
comunicazione del pensiero e di razionalizzazione dei
rapporti umani, come ci fa capire Omero a proposito di
Ulisse e dell’assemblea.
In questo libro prenderemo in considerazione questi due
aspetti, che costituiscono la materia e la struttura
della dizione.